[STREAMING…FOR VENGEANCE#12]

Live-stream#12 - Collage

Ritorna “Streaming…for Vengeance“, ma prima di ributtarci su qualche evento dell’anno passato, diamo uno sguardo a cosa ha offerto finora il 2022, iniziato alla grande con Devin Townsend e i Soen!


DEVIN TOWNSEND

Benvenuti all’ennesimo appuntamento con Devin Townsend, il geniale artista canadese che da oltre 30 anni imperversa nella scena Progressive Metal; questa volta però è soprattutto una questione di cuore poiché lo streaming in questione riguarda un album molto speciale, quello che mi ha permesso di entrare, in punta di piedi, nel suo folle e sterminato universo musicale. Ladies and Gentlemen … Infinity!

L’ALBUM

“Infinity” (1998) cronologicamente segue “City” (1997) degli Strapping Young Lad e, in certo senso, ne è la sua nemesi, il disco con cui Devin tenta disperatamente di esorcizzare la negatività che avvolge la sua musica e la sua vita. Il concetto di causa/effetto viene espresso musicalmente, concettualmente, ma anche visivamente fin dalla copertina, con City che rappresenta la propria furia iconoclasta attraverso il freddo (meccanico) nero, mentre Infinity sceglie il candido (nudo) bianco per incarnare la tanto bramata purezza; ma l’immagine scelta è anche una provocazione verso l’industria discografica che, durante l’esperienza con Steve Vai, l’aveva sedotto e poi abbandonato.

Nonostante sia il primo successo, l’opera che finalmente lo impone all’attenzione di media e fan, è quello che ama di meno a causa del periodo complicato a cui è legato, periodo che solo di recente è riuscito a sviscerare completamente, dapprima nel suo memoir “Only Half There” (2016), poi in una serie di podcast. Le surreali interviste promozionali rilasciate all’epoca, alla stampa specializzata, sembravano più il classico delirio da rockstar trasgressiva che non la schietta confessione di un reale disagio, fatto di comportamenti esagerati, ossessivi, estremizzati dall’uso/abuso di sostanze allucinogene, che lo avevano portato al crollo mentale e al ricovero in un istituto psichiatrico! Infinity è un album brutalmente onesto, ingenuo, catartico, che lo pone inconsciamente di fronte ai grandi interrogativi e contraddizioni della vita (religione, filosofia, psicologia).

Ma al netto del pesante fardello emotivo che si porta appresso, le canzoni sono sorprendenti ancora oggi; l’influenza di Steve Vai o forse di Frank Zappa (nume tutelare di entrambi) è palese, ma Devin riesce comunque a rielaborarla con gusto e personalità. Infinity è anche l’archetipo sonoro su cui si basano molte delle sue produzioni: le stratificazioni, l’utilizzo massiccio di riverberi e delay, le accordature aperte in Do maggiore, le parti corali e un cantato sopra le righe, che spazia dal tono suadente alle urla belluine. Contrariamente alla bulimia che contraddistingue le sue recenti produzioni (troppi doppi album!), Infinity è un disco perfetto poiché composto di soli 10 brani; fatto casuale o probabilmente frutto di logiche commerciali dell’epoca che privilegiavano album brevi, a cui magari far seguire un EP come in questo caso quando, dopo pochi mesi, viene pubblicato “Infinity EP” con altri 4 ottimi brani che nulla aggiungono.

Truth è il brano simbolo, uno strumentale immaginifico che ti fa letteralmente precipitare senza paracadute; un saliscendi di chitarre, punteggiate da cori enfatici, ci guidano per mano alla scoperta del suo strano mondo e … non si vuole più andar via! È uno dei brani che Devin apprezza tutt’ora, “è la prima canzone che ho composto, si è praticamente scritta da sola e per molto tempo ho creduto che fosse quasi un dono divino, quindi doveva essere perfetta.”

Christine è un bombastico anthem Pop-metal pesantemente influenzato dalla penna di Ginger dei The Wildhearts, che infatti contribuisce alla scrittura. Devin racconta che “l’ispirazione per il ritornello viene dal musical ‘Phantom Of The Opera’, ma questa Christine è invece mia nipote, che al tempo stava attraversando un brutto periodo e io sentivo di comprenderla, volevo aiutarla, ma non mi rendevo conto che stavo affrontando gli stessi problemi. Ero … pieno di merda!”

Bad Devil è puro groove, un pezzo trascinante con cui è praticamente impossibile stare fermi. Un ipertrofico brano Jazz con fiati, cori femminili e organo in bella evidenza, sul consueto muro di chitarre; strofe letteralmente vomitate si alternano a ritornelli anthemici fino all’inatteso stacco centrale che regala un ipnotico assolo di tromba! In un album che cerca disperatamente la bellezza “Bad Devil è come un punto nero in un mare di luce … come al solito mi sbagliavo Infinity non è poi così luminoso, ma più simile ad una palla fatta di elastici colorati, non così splendente, ma sbadita e polverosa.”

War è l’ennesimo brano groovy dall’incedere quasi marziale, che si fregia di una linea vocale assolutamente perfetta; a metà la canzone si arricchisce di vocalizzi doo-wop che contribuiscono ad enfatizzare l’atmosfera gioiosa e caotica. È il solito gioco dei contrasti dove ad una musica solare spesso si contrappone un testo carico di inquietudini; “al tempo credevo che la vera chiave di lettura dell’infinito fosse il caos, ma in realtà penso sia qualcosa di più sottile … è il silenzio.”

Soul Driven Cadillac è strettamente connessa a War, tanto da esser stata parzialmente inglobata nella parte finale della traccia precedente; musicalmente, invece, se ne discosta nettamente sfruttando un incedere greve e magniloquente che ricorda i musical, con Devin, unico interprete di “mille” ruoli, quasi costretto a dar fondo a tutto il suo istrionismo vocale pur di raggiungere vette inaudite! Il brano richiama le atmosfere di alcuni passaggi di “Sex & Religion” (1993), l’album fatto con Steve Vai.

È lampante l’influenza di Vai su Ants; con Devin che prova a fare la parodia di un pezzo spericolato come Pig (sempre da Sex & Religion) mettendo in mostra, oltre a una sana dose di follia, la notevole tecnica chitarristica di cui è dotato.

Wild Colonial Boy è un altra canzone dai due volti; inizia in maniera quasi romantica, pomposa, con il solito florilegio di melodie ficcanti e stratificazioni corali per poi trasformarsi improvvisamente in una irresistibile marcetta Folk! Questa volta l’ispirazione lo riporta con nostalgia al passato, “da giovane la mia formazione musicale consisteva per lo più in canzoni natalizie irlandesi (mio nonno era originario dell’Irlanda) e proprio da una di queste proviene l’idea per ‘Wild Colonial Boy’!”

Life Is All Dynamics miscela le sonorità più melliflue di “Ocean Machine” (1997) a quelle più epiche e magniloquenti mostrate finora, in un brano apocalittico in perenne crescendo, dal finale sospeso. “È la canzone in cui realizzo che, durante tutto quel periodo, avevo mancato completamente il bersaglio… è divertente pensare come la mia motivazione artistica fosse più forte e consapevole di quanto io sia mai stato nella realtà. Artisticamente parlando mi sentivo come un ragazzino spaventato che si faceva largo al buio cercando l’interruttore, ma in qualche modo la mia anima sapeva!”

Dopo una serie di pezzi carichi e intensi Infinity si chiude con Unity un brano rilassato dove le chitarre pulite la fanno da padrone e l’energia accumulata finora viene dissipata, rilasciata per sempre. “Unity descrive il mio rapporto con Ginger, una relazione strana, difficoltosa, eravamo due completi opposti ma anche molto simili… si basa sull’idea di due entità che devono stare unite ma… separate!”

Noisy Pink Bubbles è la classica ghost-track, che inizia dopo una lunga pausa; il brano decisamente spiazzante parte con un andatura sghemba, chitarre ancora pulite, un cantato sornione e cori di bambini! A metà cambia completamente atmosfera e ritmo, acquistando un taglio più serioso grazie all’evocativo falsetto di Devin; in certo senso, anticipa alcune sonorità che verranno sviluppate maggiormente in seguito.


L’evento si svolge nello stesso spazio utilizzato per i precedenti streaming (quelli col green-screen), solo che per ovvie ragioni questa volta lo sfondo è completamente bianco! Prima di iniziare confessa candidamente come sia stata dura riconnettersi emotivamente con Infinity, ma anche i numerosi problemi tecnici affrontati: dal dover ricreare da zero le basi musicali di tutti i brani (“i master di tutti gli album fino al 2000 sono andati distrutti durante un’inondazione!”), alla difficoltà di cantare brani che non sono più nelle sue corde (“perdonatemi se alcune delle urla sono più da 50enne, che da 25enne!”), fino al disagio di non riuscire quasi a trovare una t-shirt bianca in pieno inverno (“ancora non riesco a vestirmi in maniera decente, anche se … ero meglio nudo allora!”). La scaletta, che miscela le canzoni dell’album a quelle dell’EP, è un vero godimento poiché molti degli estratti non sono mai stati eseguiti dal vivo, come Om (“una delle mie preferite!”), Sit In The Mountain o Processional. Pur sostenuto da basi musicali abbastanza invadenti la performance è genuina e Devin fa il massimo per rendere giustizia a brani impegnativi come Soul Driven Cadillac o l’esagitata Ants (“fuck that song!”); l’esibizione è animata da video-proiezioni che spesso si sovrappongono creando un effetto psichedelico, altre volte invece vengono proiettati veri e propri filmati ispirati alle varie canzoni, come quello decisamente agreste di Wild Colonial Boy con tanto di cani che abbaiano (what?). L’unico appunto che mi sento di fare è… perché non ri-registrare, sulle nuove basi, anche l’assolo di tromba che (secondo me) caratterizza profondamente Bad Devil?

Dopo quasi 90 minuti uno stremato Devin si congeda e da appuntamento ai prossimi eventi monografici, con l’intenzione di continuare a farli fino a coprire tutta la sua sterminata produzione solista (“questi stream sono utili perchè mi costringono a reimparare le vecchie canzoni per poi proporle dal vivo”); i fan sulla chat esultano e ringraziano, anche con sonore bestemmie, come dall’Italia!

Setlist 05/02/2022: Truth, Christine, Om, Sit In The Mountain, Bad Devil, War, Soul Driven Cadillac, Ants, Wild Colonial Boy, Life Is All Dynamics, Unity, Noisy Pink Bubbles, Processional (Star Child Rise/Welcome Home/Metamorph/Infinite Waltz).


SOEN

Se c’è qualcosa di buono in questa pandemia (what?) è la possibilità di assistere ad eventi in streaming totalmente inattesi come quello messo in piedi dai Prog-metallers svedesi Soen. Una performance che fa rivivere i brani della band in veste (quasi) unplugged, arricchiti da partiture orchestrali interpretate da un quartetto d’archi, un contrabbasso, un pianista e due coriste; un esperimento che riporta alla memoria la grande stagione di “MTV-unplugged” degli anni ’90. Ma aldilà del discorso puramente nostalgico, per una piccola realtà come i Soen portare in tournée uno spettacolo del genere sarebbe economicamente insostenibile (pura utopia pensare di vederlo in Italia!), quindi ben vengano occasioni speciali come questa che fanno di necessità virtù dando la possibilità ai fan di tutto il mondo di godere con gli occhi e con le orecchie.

L’esibizione filmata il 10 dicembre 2021 presso gli Atlantis Grammofon Studios di Stoccolma, la cui fama è indissolubilmente legata a quella degli ABBA, è a tutti gli effetti una sessione in studio. Per ovvie ragioni, Martin Lopez (batteria) viene isolato in una sala adiacente, che fatica a contenere il suo immenso drum-kit, mentre il resto dei musicisti, comodamente seduti e schierati (anche per facilitare le inquadrature), prendono posto nella sala principale; la staticità e il poco spazio di manovra favorisce certamente una resa complessiva ottimale. La particolare natura dell’evento “forza” la band a puntare maggiormente sui brani più adattabili, come quelli di “Lotus” (2019) l’album più melodico dei Soen; comunque anche quelli più duri, opportunamente rimodellati, trovano spazio in scaletta come l’opener Antagonist che, se non fosse per la melodia vocale di Joel Ekelöf, si stenterebbe quasi a riconoscerla. Si prosegue con una Lunacy decisamente più familiare, con gli archi protagonisti sia nelle fughe strumentali che nei ritornelli; un Lopez più a freno guida invece il groove inesorabile di Monarch che mantiene intatta la matrice originaria e si giova degli spettacolari intrecci vocali tra Joel e le due bravissime coriste. River è perfetta in questo contesto, viene resa in maniera quasi speculare alla versione sull’album, lasciando campo libero al pianoforte che regala un ottimo assolo. Lars Enok Åhlund è il vero factotum, passa con disinvoltura dall’acustica all’elettrica, dal piano alle percussioni, occupandosi anche di “dirigere” all’occorrenza il quartetto d’archi! Jinn non perde un’oncia del groove primigenio e delle sonorità mediorientali che la contraddistinguono, anzi acquista ancor più spessore grazie alle ottime punteggiature degli archi e dell’organo; come Illusion e Modesty che, pur non stravolgendo le loro strutture, si arricchiscono grazie al tappeto sonoro fornito ancora dagli archi, dall’organo e da interventi corali innegabilmente Pink Floyd-iani! Pink Floyd che ritornano prepotentemente nell’eterea Lucidity, brano che è più di un omaggio ai maestri del Prog inglese, che i Soen rendono in una versione definitiva grazie soprattutto a parti corali di ampio respiro. Savia, dal primo indimenticato album, consente al nuovo entrato Oleksii “Zlatoyar” Kobel (basso) di mettersi in mostra, qui le malinconiche trame Prog-metal (à-la Tool) vengono enfatizzate oltre che dagli archi anche dal drammatico incedere del piano. Ma la canzone che proprio non ti aspetti è Snuff degli Slipknot (what?), un’intensa ballad certamente più nelle corde di fini cesellatori come i Soen. Si cresce di intensità con Lasciviuos trascinata da uno scatenato Lopez, che questa volta non lesina la sua esuberanza, prima di chiudere con la splendida Lotus con un’arrangiamento rispettoso che racchiude tutte le anime espresse nel corso della serata.

Una prestazione perfetta, un suono caldo e avvolgente, per un prodotto che reclama al più presto la pubblicazione, anche solo in formato audio, vista la qualità di queste nuove versioni che forse rischiano di rimanere un unicum, almeno per quanto riguarda la possibilità di poterle saggiare dal vivo, ma … sognare non costa nulla!

Setlist 18/02/2022: Antagonist, Lunacy, Monarch, River, Jinn, Illusion, Modesty, Lucidity, Savia, Snuff (Slipknot cover), Lasciviuos, Lotus.